Le possibilità di salvarsi e ridurre il rischio di emorragie intracraniche e disabilità gravi aumentano se si interviene entro un'ora e mezza dai primi sintomi. I tre passaggi per capire se si è di fronte a un ictus. Chiamare subito il 118.
Le possibilità si salvarsi e ridurre il rischio di emorragie intracraniche e disabilità gravi aumentano se si interviene entro un'ora e mezza dai primi sintomi. I tre passaggi per capire se si è di fronte a un ictus. Chiamare subito il 118
Sopravvivere a un ictus ischemico, arginandone le complicanze, è una questione di minuti, anzi, di 15 minuti. Se le linee guida internazionali fissano a 4 ore e mezza il limite massimo entro cui somministrare i farmaci fibrinolitici dalla comparsa dei primi sintomi, un ampio studio statunitense pubblicato su Jama sottolinea l’efficacia di interventi più tempestivi. Mortalità, rischio di emorragie intracraniche e disabilità permanenti nel paziente colpito diminuiscono significativamente ogni 15 minuti giocati in anticipo sull’ictus.
TEMPESTIVITA’ - Stenosi, trombi ed emboli possono ostruire un’arteria cerebrale, riducendo o annullando la circolazione sanguigna in un’area circoscritta del cervello, che diventa così ischemica: in assenza di ossigeno e glucosio le cellule cerebrali muoiono progressivamente, determinando deficit neurologici più o meno gravi. In fase acuta la trombolisi scioglie questi coaguli, ripristinando la normale circolazione sanguigna. Con risultati più apprezzabili se si interviene entro i primi 90 minuti: valutando i dati clinici di oltre 58 mila americani colpiti da ictus tra il 2003 e il 2012, i ricercatori della School of Medicine della UCLA di Los Angles, autori dello studio, hanno stimato una riduzione di mortalità del 26 per cento in chi è stato sottoposto a trombolisi per via sistemica entro la prima ora e mezza dalla comparsa dei sintomi, rispetto a chi aveva ricevuto il trattamento dopo tre ore dall’ictus. Riducendo ulteriormente la finestra temporale di intervento sono stati osservati una più bassa incidenza di emorragie intracraniche associate all’uso di fibrinolitici, un migliore tempo di recupero nei pazienti e un diminuito impatto dell’ictus sulle capacità motorie, prima tra tutte la capacità di camminare autonomamente. L’ictus ischemico è una malattia ad alto rischio di mortalità, ma anche la prima causa di disabilità grave nel mondo: solo in Italia, un milione di persone convive, infatti, con paralisi invalidanti.
CODICE ICTUS - Secondo l’indagine americana solo il 9 per cento dei pazienti riceve un trattamento tempestivo, per il 77 per cento, invece, le terapie d’urgenza iniziano entro i primi 90-180 minuti. Per abbreviare i tempi, due le strategie: riconoscere i primi segnali di ictus e chiamare il 118. Adottata in tutto il mondo, la Cincinnati Prehospital Stroke Scale insegna a capire se un amico o famigliare è colpito da ictus. In tre passaggi: chiedere di ripetere una frase, per capire se sono presenti alterazioni nel linguaggio, chiedere di sorridere, per individuare paresi facciali (bocca storta, asimmetrie nel volto) e chiedere di stendere le braccia per 10 secondi tenendo gli occhi chiusi, per esaminare la funzionalità degli arti (se un braccio cade o si muove diversamente dall’altro). «In presenza di questi segnali occorre chiamare il 118 per l’applicazione del codice ictus – spiega Elio Clemente Agostoni, direttore della Neurologia e Stroke Unit dell'Ospedale Niguarda Ca' Granda di Milano e referente clinico in Lombardia del progetto multiregionale per la gestione dell’ictus -. Nella maggior parte dei casi ci si reca in ospedale con mezzi propri, penalizzando gravemente la presa in carico del paziente. L’applicazione di un percorso preferenziale e dedicato all’ictus consente di accelerare i tempi di intervento, l’ambulanza deve portare il paziente non nel centro più vicino ma in Stroke Unit idonee. Il 15-20 per cento dei casi non risponde ai fibrinolitici, è necessario intervenire con trombolisi intravenosa meccanica, una procedura più complessa e rischiosa».
CUORE IN SALUTE - Dei 200mila ictus stimati ogni anno in Italia, la maggior parte si verifica tra i 65-70 anni e per ogni decade di età aumenta di 10 volte la possibilità di esserne colpiti. Se l’invecchiamento è un fattore di rischio non modificabile, è però possibile prevenire l’ictus tutelando la salute cardiovascolare. L’American Heart Association ha stilato una lista dei sette fattori di rischio (Life’s Simple 7): ipertensione, colesterolo, iperglicemia, obesità, fumo di sigaretta, inattività fisica, dieta non equilibrata. Secondo un’indagine condotta su 22mila volontari, pubblicata dalla rivista Stroke lo scorso gennaio, il miglioramento di questi parametri, anche lieve, abbassa il rischio di avere un ictus entro i prossimi 5 anni.
Cinzia Pozzi
Fonte:
Fondazione Veronesi - Link all'articolo